Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Nathan Gelsomino. QUARTA LEZIONE: IL MARS FRITTO DI NEWTON – 3

CHE MONELLO QUESTO GELSOMINO EH! CHE BIRBA, NON SI FA MAI TROVARE EH EH… COLPA SUA, COLPA SU… VABBE’. ECCO:

Il professor Ron si comportava in modo strano ultimamente, lo trovavano spesso nascosto dietro le tende di casa, sotto i letti o dentro le armature ornamentali. Si travestiva anche da lampada o cercava di mimetizzarsi con il colore della parete.

Non che la cosa gli riuscisse particolarmente bene, altrimenti non staremmo qui a raccontarlo con tanto di elenco, ma il suo proposito era così forte da fargli credere di essere invisibile e a volte, in tutta verità, ci riusciva pure, forse per merito del poco interesse che già la sua persona suscitava nella gente o forse perché col passare del tempo ci si era abituati alla vista di un grasso castrato steso in salotto al posto della pelliccia d’orso, non si sa, alla fine non ci si faceva più caso. Il professor Ron col tempo era diventato parte del mobilio, e neanche stonava tanto in alcuni casi.

Tranne quelle volte in cui, l’Altissimo solo sa perché, il suddetto trovava opportuno mascherarsi da coniglio gigante o da venditore di sandwich al formaggio a 99 centesimi cadauno nelle stanze di una casa nobiliare del XVII secolo.

Ma come già detto il suo proposito era molto forte, il professore infatti era determinatissimo a scoprire il segreto del piccolo Newton.

Un giorno si travestì da quadrato sull’ipotenusa e si mise quatto quatto ad aspettare dentro la stanzetta di Isaac. Il piccolo studio era in realtà un laboratorio in cui il bambino si chiudeva a volte anche per giorni interi a condurre esperimenti, escludendosi completamente dalla vita sociale e impedendo a chiunque l’ingresso. Il professor Ron ci era riuscito, anche se ovviamente Isaac lo aveva notato da subito; d’altronde un grosso quadrato sull’ipotenusa con i baffi e la panza non passa inosservato, ma non ci aveva fatto caso in quanto abituato da tanto a quella singolare e ininfluente presenza. Vedere il professor Ron in quello stato era come trovare davanti un vecchio tasso impagliato, posto magari sopra il caminetto di casa. In casi come questo (casi di quotidiana esperienza come ben sappiamo), soffermandosi qualche secondo ad ammirare la tenera bestiola, ci si può chiedere tutt’al più dove, quando e soprattutto perché un abominio del genere è stato comprato. Il piccolo scienziato entrò nello stanzino e posò gli incartamenti con gli appunti sul tavolo, si pulì le scarpe sul professor Ron e senza perdere tempo prese il camice, pronto a continuare i suoi esperimenti.

“Ecco, finalmente potrò assistere al procedimento segreto che tanto aspettavo, forse questa è la volta buona, la mia fatica sarà ripagata!”, pensò in tutta fretta il quadrato cercando di aguzzare la vista.

Isaac nello stesso momento iniziò a fischiettare, si trattava di un pezzo dei Rolling Stones, ancora molto in auge in quel periodo nonostante l’età avanzata degli artisti.

Ron pensò che stesse per applicarsi in una delle sue pensate segrete, il ragazzino prodigio accese prima un fuoco, lasciò scaldare una piastra posta sopra il fornello per qualche secondo, poi agitò una fialetta e la bevve tutta in un sorso.

Il professore si stupì, che diavolo sta facendo? Sta assumendo droghe per concentrarsi meglio? Per sognare? Per parlare con il demonio?

Isaac fece due o tre gorgoglii, poi sputò nel lavabo posto alla sua sinistra e si pulì la bocca con la manica.

“Aah alitosi, vincerai anche stavolta, vecchia brighella?”, disse il giovane scienziato, “Niente ragazze per Isaac, niente ragazze per Isaac”. E continuò a fischiettare.

NECESSARIAMENTE C’E’ DA TEMERE UN SEGUITO ANCHE STAVOLTA.

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Nathan Gelsomino. QUARTA LEZIONE: IL MARS FRITTO DI NEWTON – 2

A DIFFERENZA DI QUELLO CHE VI POTRESTE ASPETTARE, QUESTA NON E’ LA PARTE FINALE DEL DITTICO SU ISAAC NEWTON, PERCHE’ HO DECISO CHE SARA’ UN TRITTICO, DAL MOMENTO CHE MI TROVO STRANAMENTE ISPIRATO SU QUESTO TESTO. VISTO CHE SARA’ L’ULTIMA STORIA DI GNAM, MI SON DETTO, PERCHE’ NON CHIUDERE CON UNA BELLA TRILOGIA, COME VA DI MODA OGGI?

PERCIO’ ECCO A VOI IL SECONDO CAPITOLO, CHE DI SOLITO E’ SEMPRE CONSIDERATO IL MIGLIORE IN UN’OPERA IN TRE ATTI. MAH…

“Vieni qui, Gastrite!”, disse il piccolo Isaac facendo un ampio gesto con la mano. “Dai vieni bello, vieni dal tuo padrone!”. La voce del bambino squillava per la felicità. La povera bestia, un cane vecchio di vent’anni, alzò a malapena la testa. Ti prego, dammi la morte, sembrava implorarlo. In effetti Gastrite non era un cane, era un grosso topo che a furia di sentire la leggenda metropolitana secondo la quale grossi topi sulle spiagge vengono scambiati per cani da stupide signorine in età puberale, si era convinto a fare il cane, più per convenienza che per convinzione, che si sa, i cani sono un’anticchia visti meglio. Gastrite era andato a scuola, sua madre aveva voluto che studiasse e diventasse una zoccola (era dei pressi di Napoli) istruita, ma subito erano cominciati i problemi. Tu non sei un cane! Gli gridavano. Ma io ho quattro zampe come voi, replicava Gastrite, e i baffi, e la coda, e un folto pelo irsuto sporco di sangue ed escrementi. Al che i cani ci pensavano un po’ su e dicevano si beh in effetti. E poi io porto le infezioni tra gli uomini. Ah! Facevano gli altri, và che bravo. Bravo, bene! Fagli vedere a quei puzzoni a due zampe. E così Gastrite arrivò fino all’università, a due esami dalla laurea però abbandonò, con grande dispiacere di sua madre, che aveva perso un marito in una trappola al formaggio, e ora vedeva il suo unico figlio immerso nel mondo della disoccupazione.

In verità, come abbiamo già detto, Gastrite non era un somaro, infatti era un topazzo schifoso. Ma sto divagando.

L’importante è che Gastrite non si laureò mai e si ritrovò costretto ad accettare il compito di cane della famiglia Newton. Questo succedeva quindici anni prima, e quando Isaac era solo un bambino Gastrite era già un povero vecchio cane grigio e morente. Si trascinò ancora qualche per qualche passo, in direzione del bimbo che gli sorrideva. Le zampe gli tremavano tutte e sentiva la vita scivolargli via. Gli occhi, ormai appannati e strabici, rotearono un paio di volte, poi Gastrite stramazzò al suolo stecchito. Isaac rimase immobile, pensando a un altro gioco del suo vecchio amico peloso, ma poi dovette constatare l’ora del decesso alle 14:31 dell’anno del Signore 1653 e chiamare la serva affinché buttasse quella carcassa immonda nella spazzatura. Mentre la servetta correva a procurarsi ramazza, paletta e un bustone di plastica nero, arrivò la madre di Newton, accompagnata dal suo precettore, Sir Aldous Loxley. Il precettore della madre, non di Newton. Infatti lei era una somara, al contrario del fu Gastrite che invece era un topo.

Il precettore di Newton, insomma, arrivò dopo. Loxley mentre camminava cadde in un buco e nessuno seppe mai più niente di lui, d’altronde nessuno se ne interessò, perché era un uomo noioso e aerofagita. Solo di tanto in tanto lo si menziona, più che altro perché aiutò a scrivere una battuta molto stupida sui precettori. Il precettore giusto, quello che serve a questa storia, spuntò da dietro un fagiano.

“Ah, bene, vedo che c’è anche il professor Ron, che piacere averla qui”, disse la madre al precettore del ragazzo. “Lei senz’altro saprà aiutarci”.

Il professor Ron era un noto cantante castrato italiano convertitosi all’insegnamento della scienza tra gli infanti delle ricche famiglie, tuttavia era un uomo umile, non si dava arie, al contrario di Loxley, come sappiamo. Quindi, nonostante la famiglia di Newton fosse poverissima, accettò di buon grado di istruire quel bimbo tanto portato per le scienze.

“Professore”; fece la madre, “lo sa che assomiglia a un noto castrato italiano? Sa che non riesco proprio a togliermi dalla mente questa immagine? La sua arte è molto apprezzata e imitata nelle corti europee”.

Il professor Ron voleva nascondere la sua identità e fece spallucce.

“Lei è sempre di così poche parole, professore…”

Fece spallucce di nuovo.

Non ridete. Non c’è niente da ridere. Non è semplice per un castrato nascondere la propria identità con un semplice “ah ah ah, si, si, me lo dicono tutti, mi sono convinto anche io di assomigliargli!”.

Non può.

Insomma, entrambi andarono vicino al bimbo e dissero “Povero Gastrite, ormai era proprio una vecchia scrofa, prima o poi c’era da aspettarselo”.

“Aspetti, signora!”, fece Ron avvicinandosi al cadavere del povero animale. “Guardi! Non è una scrofa, è un topazzo!”.

“Professore, che strana voce che ha… sa chi mi ricorda?”

“Non c’è tempo, guardi”

La madre guardò.

“Ma guarda tu, io ho sempre pensato che fosse una scrofa”, replicò la donna.

“Io un cane”; aggiunse il piccolo Newton.

“Io mia moglie”, fece Loxley dal buco aggiungendo una risata di complicità. Ma nessuno rise.

“Io il signor Loxley”, disse la serva.

“Io un aspirapolvere a bidone”, disse Arthur Amboid, il vicino di casa, che aveva assistito a tutta la scena dalla sua finestra sopra la staccionata.

“Io il signor Loxley”, disse il fratello della madre, zio Harold.

“Io il mio professore di geometria delle medie, il professor Zamboni”, ridisse la madre.

“Perché, c’era qualcosa?”, disse lo zio cieco.

“Va bene, basta così”, disse a voce alta Ron.

“Insomma”, fece la madre, “ci siamo fatti prendere il giornale da una pantegana gigante per vent’anni?”.

“Questa è una strana famiglia”, concluse Newton.

Ma mentre tutti discutevano accavallandosi uno sull’altro in una babele di voci, pensieri e ricordi in libertà sul povero Gastrite, il professor Ron si già interessato a un particolare che considerava fondamentale, si riservò tuttavia di parlarn… di scriverne a Newton in un altro momento.

Un altro momento:

“Dimmi, piccolo Isaac…”

“Che strana voce professore. Lei mi ricorda…”

“Si, si, va bene, va bene”, lo interruppe bruscamente lo scienziato agitando la mano.

“Eh, oh”, fece il bambino.

“Senti, Isaac, perché hai chiamato il tuo cane…”

“Vuole dire la zoccola di fogna, professore?”

“Si, si… perché hai chiamato quella cosa Gastrite…”

Il piccolo Isaac si chiuse immediatamente, il suo sguardo divenne severo, come se avesse intuito un inganno nelle parole del castrato. Ron capì che il bambino aveva qualcosa da nascondere… qualcosa che avrebbe difeso con la vita, un segreto troppo grande per essere confessato. Sicuramente era più sveglio di quanto apparisse, un bambino perfettamente a suo agio con le cose dei grandi. Avrebbe fatto strada. Tra le sue ipotesi quella che aveva sempre considerato la più pertinente riguardava l’interesse quasi ossessivo del piccolo verso i trattati di alchimia, le opere di Paracelso, Bacone, Giordano Bruno e Tommaso D’Aquino. Sembrava credere più nella magia che nella scienza, quel bambino certamente aveva scoperto qualcosa di molto importante, così decise di spiarlo.

“ALT!”

“Perché?”

“Devo ordinare un’altra birra”, dissi al vecchio alzandomi dal tavolo. “Il tuo racconto mi ha messo sete, e sappi che ho dei forti dubbi che le cose siano andate così, anzi credo proprio che tu mi stia mentendo, vecchio di plastica”

“Ah, si?”, fece quello stizzito.

“Si”

“Allora non saprai mai qual è la vera storia di Newton”

Mi soffermai a pensare, dopotutto quel racconto, per quanto bislacco, stava cominciando a piacermi. Il vecchio, sebbene tenesse una fiatella tremenda, tipo fogna di Calcutta, aveva un certo talento nel raccontare. Mi ero addormentato solo tre volte, un record per me. Solitamente avrei accoltellato direttamente il narratore o gli avrei spaccato il bicchiere sugli occhi, come da abitudine.

“Va bene vecchio, ti ascolto, anche se non so perché lo fai. Che vuoi da bere, offro io”

“Per me un gin lemon”

Maledetti anziani, pensai, non si smentiscono mai. Andai al bancone del pub, la cameriera mi guardava, ma io cercavo di ignorarla. So che sapeva, l’unica cosa che potevo fare era sperare che il tempo giocasse dalla mia parte. Perché il tempo dite? Non lo so, l’ho dimenticato, nei libri seri però scrivono così. Ma vedrete che alla fine di questa storia ogni cosa sarà spiegata.

Ovviamente non sarà così, mi auguro che voi lo sappiate benissimo.

No, ma forse sarà così.

Ma sto divagando.

Presi posto tra due sgabelli e aspettai il mio turno. C’era molta gente quella sera, il pub era pieno, devo dire anche allegro, si, l’atmosfera trasmetteva un senso di benessere. Sarà perché la porta del bagno era chiusa, sarà perché certe magie riescono solo nei pub, sarà per via di quantitativi spaventosi di alcol nel sangue. Sarà, sarà, sarà. L’importante era che Joe DiMaggio avesse segnato quell’home run con gli Yankees il 30 settembre del ’51.

“Ehi”, mi gridò il barista, “dico a te, noi i droidi qui non ce li vogliamo”

“Va bene, va bene, calmati”. Accompagnai i miei droidi protocollari fuori dal locale e dissi loro di aspettarmi lì.

Quando tornai, il vecchio Chube mi fece un segno con la sua testa pelosa come a dire “bevici su”. Finalmente l’uomo dietro il bancone si decise a servirmi e presi il mio bicchiere. Sentii una mano toccarmi sulla spalla, un brutto ceffo mi squadrava con aria minacciosa.

“Non piaci al mio amico”, disse. Alle sue spalle un altro orrido essere mi guardava male. Immaginai che fosse per via del mio cappellino con l’elica della Cambridge University.

Non dissi nulla, sapevo che cercavano grane e rispondere avrebbe fatto solo il loro gioco.

“In verità non piaci neanche a me”, disse scuotendomi la spalla ancora più forte e avvicinandosi di un altro passo. Il suo sporco amico continuava a fissarmi.

Per spaventarmi mi disse di essere condannato a morte su 12 sistemi planetari diversi, era un ricercato, si vedeva, non facevo alcuna fatica a credergli. E devo ammettere che in quel momento ebbi paura sul serio.

“Starò attento”, fu l’unica cosa che riuscii a rispondergli. Pensavo di potermelo levare di dosso con parole ferme ma non offensive, invece quello si adirò ancora di più.

“Invece sarai morto!”, mi urlò.

Mi scaraventò a terra con una manata, andai a sbattere con un altro tavolo che rovesciai con tutto quello che c’era sopra, per poco non svenni. Più che altro per tutta la birra sprecata. Finsi di essermi fatto malissimo e piansi come un bambino.

L’amico del condannato a morte estrasse la pistola per farmi fuori all’istante. Vidi la canna puntata contro di me, poi il suo braccio cadde ai suoi piedi e un fiotto di sangue caldo investì tutti gli astanti al bancone. L’uomo gridò e cadde all’indietro fracassandosi la testa contro il bancone di legno del pub. Non potevo crederci, cos’era stato? Era successo tutto così velocemente che neanche mi accorsi della mano che Fitta Allostomaco mi tendeva da qualche secondo.

“Aggrappati ragazzo”

Mi alzai asciugandomi le lacrime finte e feci in tempo a vederlo mentre riponeva la sua spada laser sotto il mantello.

Tutta la gente nel pub si era fermata per assistere allo spettacolo, quelli violenti erano sempre ben visti in Scozia, poi come se nulla fosse tornò alle solite occupazioni, bere, giocare a dadi e fare a cazzotti.

“Ti sei fatto la bua?”, mi chiese.

“Gno, gno, non mi sono ‘atto niente, quello lì è solo butto cattivo invidioso”, risposi mentre Fitta mi prendeva a cavalluccio sulle spalle e mi faceva fare il trotto per calmarmi.

“Oplallà! Oplallà!”

Tornai a sorridere.

Con la manina stretta nella sua tornammo al nostro tavolo.

“Ho dimenticato la birra”, dissi.

Quando fui di nuovo ubriaco, Fitta tornò a raccontare.

FINE SECONDA PARTE

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Nathan Gelsomino. QUARTA LEZIONE: IL MARS FRITTO DI NEWTON – 1

Cari studenti e care studentesse (fuck yeah! Sono politicamente scorretto! Ho messo gli uomini prima!), come ben sapete durante questo anno accademico abbiamo affrontato e studiato una serie di cazzate micidiali. Io ho anche affrontato e studiato gli atti del mio processo per una condanna per corruzione di giovani, vilipendio all’intelletto, e per aver tentato di estirpare il diavolo dal professore di scienze appiccando fuoco alla sua veste, perché reo a mio dire di aver affrontato l’insegnamento della teoria di Darwin. Purtroppo quel discepolo di Satana è riuscito a farla franca, ma la mia lotta contro l’evoluzionismo non termina certo qua, non sarà un tribunale speciale a fermarmi. Ora però, scusatemi, ma devo andare, un gravoso impegno accademico mi attende: devono farmi alcune foto, finirò sui trattati scientifici come prova vivente della teoria evoluzionista. Ah ah, poveri sciocchi, non sanno cosa li aspetta, stanno facendo entrare la volpe nel pollaio, fingerò di essermi arreso solo per portare il caos all’interno delle loro stupide teorie, insinuerò il germe del disordine, lo streptococco del dubbio, la streptolisina della follia nelle loro menti, il mio metodo è meticoloso, ingegnoso, inarrivabile, ardito, un vero piano machiavellico. Una volta dentro farò un sacco di smorfie di nascosto davanti l’obiettivo.

Ora però vi devo lasciare veramente, sta arrivando mio cugino, il professor Nathan Gelsomino, credo sia giunto il momento di andare oltre. Potete fidarvi di lui, se io sono una prova della teoria dell’evoluzione per la selezione naturale, lui lo è sicuramente per la deriva genetica.

IL MARS FRITTO DI NEWTON – IN 2 PUNTATE

PRIMA PUNTATA

Dunque, se qualcheduno affermasse oggi che la terra è immobile al centro dell’universo, circondata dalle sfere celesti, chiunque lo prenderebbe per matto, folle, arrogante, ignorante, reazionario.

Non certo noi di Gnam, che alla concezione Tolemaica dell’universo ci crediamo. Infatti quel qualcheduno ora è presidente del gruppo editoriale “Trangugia & Divora” che possiede la nostra rivista. Lo abbiamo eletto all’unanimità ieri l’altro, durante una seduta speciale. Nella fattispecie, io, professor Nataniele Nathan Gelsomino, cugino dell’illustre Robert Orso Maria Frickerton, fregiato del titolo Dame Grand Cross of the Order of the British Empire (avevano finito quelli da uomini), sfregiato da un sudamericano ubriaco, sostengo una ricerca ancora più sconvolgente: la storia segreta di Isaac Newton, nobile padre della meccanica classica.

Ebbene, mentre mi accingevo a mettermi le dita nel naso nella noia di una domenica pomeriggio, trovai nella narice sinistra un prezioso manoscritto tutto impolverato, dall’aspetto alquanto antico e probabilmente nascosto da moltissimo tempo, secondo la prova del Carbonio 14 almeno almeno da giovedì scorso, almeno. Quando ebbi lesso non mi crederei ai miei occhi. Infatti avevo bisogno delle scuole serali. Le frequentai per un paio d’anni e finalmente imparai un poco di grammatica, ma purtroppo prima di andarci non sapevo leggere così sbagliai indirizzo ed entrai in una scuola serale per sordi, purtroppo le lezioni erano tutte nel linguaggio dei gesti e così non imparai nulla. Andai allora in una scuola per sordidi, e lì imparai a giocare ad Asso piglia tutto, mi presero tutto, anche i calzoni, ma non mi offesi, d’altronde erano sordidi. Alla fine mi dissero che ciò che ritenevo un documento sconvolgente era solo un ombrello.

Uscii di casa per schiarirmi le idee e riprendermi dalla delusione.

Pioveva. Peccato non aver avuto un ombrello a disposizione.

Buttai il manoscritto nel cestino.

A quei tempi abitavo in Scozia, per questo pioveva molto. In Scozia quando piove è abitudine andare a ubriacarsi, quando non piove invece è uso giocare a chi lancia il sasso più lontano. Dopodichè il vincitore porta tutti in taverna e ci si ubriaca. In quel caso però la pioggia non fa più tanta differenza.

Insomma, ero in Scozia, e feci l’unica cosa che si può fare in Scozia, entrare in un pub e disquisire dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Isacco Newton.

Ordinai 27 birre, mi portarono una vasca da bagno e una cannuccia. Per fortuna ne avevo un’altra trovata in metropolitana, non mi fido delle cannucce dei pub, mio cugino mi ha detto che sono le stesse da cui hanno bevuto anche altre persone, le girano e te le danno come nuove. Non si sa mai, non volevo prendere qualche malattia come la gonorrea o il carbonchio. Non una terza volta perlomeno.

Mentre guardavo con sospetto la cameriera e le sue cannucce, addentai un topo che passava di lì furtivo. Stupido, pensavi non ti avessi visto, è da quando sono entrato che ti ho messo gli occhi addosso. Puah, insipido. Non c’è mai da fidarsi della cucina di un pub. Volete un consiglio? Evitate i pub se volete cenare, evitateli. In Scozia ci sono solo pub, ma pochi sanno che si può aggirare questa dittatura culinaria con un metodo conosciuto da tempi remoti da tutti gli esperti viaggiatori: non mangiare.

La cameriera di quella bettola mi guardò; sorrideva l’infingarda. So io cosa stava pensando: “ecco un altro pollo che abbiamo fregato, povera misera marionetta del sistema che beve dalle nostre cannucce, stringiamo la tua vita nel nostro pugno, ti manovriamo ogni volta che la tua sete di birra ti porta sulla nostra strada. E tu pensi di essere il capo, il cliente ha sempre ragione, cameriera un’altra birra, presto. E così pensi di essere il centro del mondo, l’artefice del tuo destino da pub, l’homo faber della pinta. E invece sei solo un pirla spaziale”. Questo pensava. Ma io sono più furbo e così feci finta di essere caduto in trappola, mi finsi solo un altro dei loro burattini caduti in questa oscena recita infinita, poveri ingenui Mangiafuoco, non sono il vostro Pinocchio. Allargai un sorriso in direzione della poverina e alzai la vasca da bagno nella sua direzione. Brindo a te, mostruosa creatura, il mio intelletto vincerà. Il vostro regno del terrore è alla fine, l’umano raziocinio avrà la meglio sui vostri piani di morte. I pub torneranno liberi e pieni di stupidi maschi bianchi. Perchè Noi abbiamo i sentimenti, la voglia di vivere, e nulla ce la toglierà. Tranne un grosso dinosauro, il fantasma di Van Gogh o una pioggia di asteroidi zombi, questi si, ce la toglieranno.

Deglutii con un sorso quattro delle ventisette birre.

La cameriera voltò le spalle a questo spettacolo empio e se ne andò disgustata. O almeno così mi piace immaginare, visto che sono io a raccontare.

Fu in quel momento, mentre abortivo un rutto tremendo con la manica del pastrano verde oliva che usavo abitualmente per pulirmi la bocca, che udii una voce celestiale accanto a me.

“Chos t’ne rett nu’kk ha?”

Appoggiai la schiena al muro e i miei occhi si posarono su vecchio decrepito e schifoso che giaceva sotto il mio tavolo. Le mie ghette lo avevano ferito in più punti, ci poggiavo infatti i piedi sopra, pensando fosse una moquette d’orso. I tacchi avevano aperto ferite notevoli, e all’ennesimo colpo sugli occhi e sul muso l’orrido befano aveva trovato la forza per dire qualcosa. Lo feci alzare e accomodare sulla seggiola accanto alla mia.

“Qual buon vento ti porta in questa osteriola, essere dal tremendo fetore?”

A guardarlo bene era più brutto dell’Alzhaimer.

“Se mi offri da bere ti conto una storia”

“Che tipo di storia?”, chiesi sorpreso al vecchiazzo.

“Oh, una storia che ti piacerà. Una storia che stai cercando da molto tempo”

Il demente abbozzò un sorriso di complicità socchiudendo gli occhi, ma senza denti il volto cambiò in una maschera se possibile ancora più grottesca. Quello squarcio impreciso che portava al posto della bocca era orripilante, fu come se le porte dell’inferno si fossero spalancate. Ma ero anche troppo curioso, e poi non avevo nulla da fare. La lezione di balletto l’avevo già rimandata a martedì.

“Ti va bene un’aranciata?”

“Mi prendi per il…”, rispose furioso.

“Cameriera, una gazzosa per il signore”

Lo presi per il collo e lo trascinai all’angolo.

“Brutto storpio cos’è che mi stai nascondendo? Non mi dire che eri qui per caso”

Nei suoi occhi lessi paura.

“Se vuoi conoscere il segreto, vieni con me…”.

“Va bene”, dissi alla fine.

2 MINUTI DOPO.

“Perché siamo nel bagno?”

“Io dovevo pisciare…. Aaahhh”. Zip.

“Ma hai detto se vuoi conoscere il segreto vieni con me, io sono venuto, mi hai portato al cesso”

“Beh si, dammi un secondo, dovevo pisciare, te l’ho detto. Non la racconto bene se mi scappa”

Mi limitai ad annuire.

“A proposito, io mi chiamo Fitta Allostomaco”

“Piacere, Nathan Gelsomino”

Ci riaccomodammo al tavolo, siccome non mi ricordavo se si era lavato le mani mi tenni a distanza di sicurezza. Sotto la luce di una candela mi accorsi che il rivoltante sacco della spazzatura che mi trovavo davanti era anche guercio.

“Fitta Allostomaco hai detto, eh? Ho già sentito questo nome”

Era vero, mi suonava familiare, sentii come un campanello nella testa. No, era veramente un campanello, quello che da piccolo mi ero infilato su per il naso, un tempo era stato la mia fortuna, quando lavoravo come fenomeno da baraccone, ma ora… le mode sono cambiate, i circhi dei freak chiusi, la gente non ha più voglia di divertirsi con spettacoli semplici, ricchi di sentimento. Che volete, i bambini ormai crescono in fretta, nessuno si diverte più con giochi innocenti, come tirare pietre in faccia al forzuto, bruciare la barba della donna barbuta, fare il tiro al piattello con l’uomo proiettile, suonare la trombetta da stadio all’insaputa del trapezista, o deridere quello grasso, quello smilzo, quello storpio, portarli in giro per il paese durante il carnevale, eleggerli re dei folli e poi chiuderli alla gogna e bersagliarli di uova marce e sputi. Comunque ogni tanto suonava ancora.

Intanto arrivò la cameriera con la gazzosa, senza dire una parola posò una cannuccia accanto alla bottiglia come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Aspetta!”, feci al vecchio fermando la sua mano, “usa questa”

Gli porsi di nascosto la mia cannuccia.

“Grazie, ma ho la mia”

NON CI POTESSI CREDERE! (Ve l’avevo detto che la scuola dei sordi non è servita a niente, e pensandoci bene sono ancora senza calzoni. Per fortuna oggi ho messo le mutande).

Allora lui sapeva!

“Già”, fece il guercio, e aprì la giacca per mostrarmi un simbolo, una croce fatta con le cannucce. “Ordine della Cannuccia”, disse indicandolo con un certo orgoglio.

“Tu sai della cospirazione dei pub scozzesi’”, dissi senza trattenermi.

“Parla piano, idiota”

“Infatti, guarda quell’idiota come urla”, dissi guardando un avventore seduto vicino, “che maleducazione, deve essere ubriaco”

“No, dicevo a te”

“Capisco”

“Si, so tutto. Per questo sono qui. No, non è vero, sono qui perché mi volevo sbronzare, ma fa lo stesso. L’importante però è che anche tu sia qui”

“Già, ma perché?”

“Ti ho udito parlare spesso dei Principia di Newton in questa taverna, credo che tu sia l’uomo giusto”

Quella fetenzia umana aveva appena nominano Newton, cosa c’entrava il grande scienziato in questa faccenda? La mia curiosità era alle stelle. Ormai ci ero dentro, e dovevo andare fino in fondo. Lo esortai a parlare, a dirmi di più.

“Vedi, tutto ha a che fare con il Mars fritto, noto piatto scozzese. Fin dai tempi antichi una cospirazione culinaria guida le sorti di questo paese, ancora oggi è in atto e noi tutti siamo le vittime inconsapevoli. Tutto ciò che sai su Newton è stato cambiato, in realtà lo scienziato fece molto di più, ci sono alcune cose nella sua vita che sono tenute nascoste, è proibito parlarne. Per questo è stato creato l’Ordine della Cannuccia, noi siamo i protettori della cucina dei pub. Come ben sai Newton è stato anche un grande alchimista e ghiottone, i suoi interessi ricadevano sulla magia e i testicoli di maiale fritti. Quando le sue passioni per l’occulto e la frittura si unirono ciò che venne scoperto era pronto a rivoluzionare l’intero genere umano. Non fu il primo degli scienziati, neanche l’ultimo dei maghi, ma il primo dei Frittori”

“Mio Dio!”

“Io lo chiamo… l’Untore”

“Ma come fai a sapere tutto questo?”, chiesi d’un fiato. Non riuscivo a credere alle mie orecchie, come avevo imparato alla scuola per sordi.

Fitta Allostomaco mi guardò dritto negli occhi a lungo, come se cercasse un’ulteriore prova della mia affidabilità.

“Perché io ero lì, con lui!”

LA SECONDA EULTIMA PARTE A BREVE (STAVOLTA SUL SERIO).

Tanto non la leggete perchè siete sordi.

Un Rondi non fa primavera, ma fa il Festival di Roma

Il Signore sia lodato, Larry Mason è tornato.

Chiunque egli sia.

Il Signore intendo.

Per me per esempio il Signore è un opossum dispettoso.

Salve a tutti,

sono Larry Mason, e torno a scrivervi per fare contento il mio esimio collega Prof. Frickerton, visto che fondamentalmente non me ne frega un cazzo di diffondere il mio sapere presso di voi. Ma il mio agente mi ha detto che la mia popolarità sarebbe aumentata se mi fossi dimostrato umile e disponibile a condividere con voi la mia scienza. Quindi immaginate che lo sia.

L’argomento odierno è oggetto da anni di accesi dibattiti all’interno della comunità scientifica: il grasso del prosciutto crudo.

Rondi è felice

Questo enigmatico alimento divenne oggetto di attenzioni per la prima volta nel 1974, quando un bieco truffatore rubò 148 chili di prosciutto crudo per toglierne il grasso, fonderli assieme e rivenderli come lardo di Colonnata. Il suo astuto piano fallì solo a causa della sua sete di potere: volendo strafare, provò a spacciarlo a un turista giapponese per mortadella. Solo che quello non era giapponese ma di Corleto Perticara (PZ), e non si fece fregare. L’accento a volte inganna.

A proposito di inganni, qualche tempo fa mi è successa una cosa strana. Ero in metropolitana quando vedo una zingara rubare il portafoglio dalla borsa di una vecchia. Io ovviamente non intervengo, come faccio sempre quando assisto a scene deplorevoli che hanno come protagoniste le vecchie. Mi accorgo però che la zingara nella fretta di uscire dalla metro perde il portafogli. Al che lo raccolgo, inseguo la zingara e glielo restituisco. Lei mi ringrazia e mi dice che per ricompensarmi mi avrebbe rivelato un prezioso segreto zingaro: di lì ad una settimana sarebbe esploso il mondo. “Ma come”, le faccio io, “e me lo dice così? C’è qualcosa che posso fare per scongiurare quello che appare a tutti gli effetti come il mio destino ineluttabile?” “C’è solo un uomo che lo sa: Gianluigi Rondi”. “Ahahahah, ma Rondi è morto!”, faccio io. “No, ti sbagli, Rondi non può morire, perché nel 1456 salvò la vita ad una zingara e da allora gli è stato fatto il dono dell’immortalità”. Ciò detto, la zingara scomparve. E con lei, il portafoglio della vecchia. Ed anche il mio.

Quella sera stessa mi recai da Rondi. “Professor Rondi”, gli dissi, “ho bisogno di parlarle!” “Ma io sono Rondolino, non Rondi. Rondi è morto”. “Oh, mi scusi, ma va’ che Rondi è vivo, eh”.

Il giorno dopo andai da Rondi, quello vero, e lo riconobbi subito perché indossava una maglietta con su scritto “LyNcH sUcKs” ed aveva appeso nello studio un calendario del 1946 con immagini discinte di Ingmar Bergman. “Professor Rondi”, gli dissi, “Ho bisogno di conoscere il segreto della sua immortalità per salvare il mondo!” A quel punto Rondi ebbe un sussulto e mi urlò contro parole terribili che al mio orecchio suonarono più o meno come “FFFGFGFFHHFHFHFHFHFHFHFHFGGGGGGGGGGGGHHHHHHHHHH!”

Poi si mise la dentiera e divenne più comprensibile: “NON TE LO DIRO’ MAI!”.

Rondi è triste

“LO SO IO!”, urlò una voce alle mie spalle. Mi girai e vidi un pingue anziano a bordo di un’improbabile navicella spaziale che puntava contro Rondi una finta pistola laser. “E tu chi sei?”, gli chiesi. “SDFSFAAFS”, fece Rondi, che nel frattempo si era tolto nuovamente la dentiera per evitare la formazione agli angoli della bocca di quella sgradevole quanto caratteristica bavetta bianca. “Sono Luigi Cozzi, e con il potere del trash distruggerò te e i tuoi film noiosi! Larry, il potere di Rondi risiede nella sciarpa! Prendigliela ed il mondo sarà salvo!”

Al che mi lanciai contro Rondi e gli strappai via la sciarpa, e Rondi si polverizzò all’istante. Al suo posto comparve un figuro alto in una tunica nera che gli lasciava scoperto il solo volto, bianco come la cipria. “Ma tu sei la Morte”, gli dissi. “Sì, e volevo ringraziarti per avermi mandato giù questo tizio. Saranno stati 3 secoli che cercavo di spiegargli l’arrocco”. E scomparve.

Adesso avevo la sciarpa. Mi restava solo da capire come fare ad utilizzarla per salvare il mondo; non avevo molto tempo a disposizione.

A quel punto però pensai che tutto sommato se me la fossi messa io mi sarei salvato anche in caso di esplosione del mondo. E così feci.

Poi però saltò fuori che la zingara mi aveva ingannato, il mondo non è esploso e quindi è stato tutto inutile. Però in un colpo solo mi sono liberato di Rondi e sono diventato immortale, che comunque è una cosa carina.

Alla prossima.

Rondi l'Angelo della morte

Il sondaggio Giovanni

SONDAGGIO, QUI, QUESTO CHE SEGUE:

E’ giusto che anche gli edifici non di culto appartenenti a GNAM siano esentati dal pagamento dell’ICI? Ricordiamo che GNAM possiede un terzo del patrimonio immobiliare di Roma. E ancora: cosa ce ne facciamo di quei 25.000 redattori di GNAM (sono tutti estremisti musulmani e qualche testimone di geova, ndr) imposti nelle scuole laiche per legge?

1) Si

2) No

3) Chi lo sa?

4) Sa che ore sono? (si rimanda all’opzione 1, 2 e 3)

5) Gnam fa schifo

6) Si

7) Per me la brioscia alla crema, eh? Non c’è? Prendo la vuota, eh si si, pago dopo, VINCE’ VINCE’ quanto viene? Eh buò ti pago quando torno vabbuò? Oh avvocà, venite che vi offro il caffè.

8 ) Michele Serra

9) Si

10) Questa rivista è piena di ominisessuali

11) Che vadano a cercarsi un lavoro come tutti gli altri

12) Prendiamoli dalle barbe e dalle palandrane e rimandiamoli a casa a calci in culo

13) Forse

14) Non sa/non risponde

15) Giovannino Guareschi

16) E’ Frank? No, è Sam

23) 17

24) 18

25) 19

26) 21

26) 21) 20

26) 21) 21

26) 22

😀

%) Wally è lì sulla destra tra il cameriere e la signora in rosso

Kramfall Krünett è morto (e la zuppa di cipolle è servita) SESTA PUNTATA

Stavolta la dedica è per Lucia…

Sandy vorrebbe risvegliarsi per la terza volta ma non ci riesce…

Fu condotta con le mani alzate per una rampa di scale, quando arrivò in cima, una porta traballante le si schiuse davanti.

Un altro tamarro, magro, altissimo ma con lo stesso sorriso sdentato, tenne la porta aperta al suo passaggio e a quello del suo carceriere.

Quando uscì all’aria aperta a Sandy parve di ricordare, quello che le si presentava davanti non era un panorama dei più rosei.

Un intero equipaggio di pirati, filibustieri e mercenari le si parava davanti urlando e ridendo.

Le urla parevano tali da scuotere il pavimento di legno e l’albero maestro attorno al quale erano radunati.

Era esattamente quello che aveva pensato poco prima.

Si trovava su una galeone di legno. A duemila metri d’altezza.

La nave sfrecciava attraverso le nubi candide e bianche, passandoci attraverso e spesso occultando la vista a meno di un metro di distanza dalla punta del proprio naso.

“Silenzio!”, gridò l’uomo col pappagallo in tasca.

“Silenzio!”, ripeté il pappagallo.

La ciurma di bifolchi si ammutolì, anche se non erano sicuri a chi dei due dovessero obbedire.

“È giunto il momento di sbarazzarci della causa che ha portato infausta sorte a questo stimabile battello”.

I pirati si guardano tra loro.

“Eh?”, dissero all’unisono.

Il pirata dal linguaggio elegante sbuffò seccato.

“ ‘desso l’ammazziamo”.

“Ahh”, e tirarono un sospiro di sollievo.

“Allora a morte!”, gridò un vecchio dalla barba bianca e un fazzoletto rosso legato al collo.

“A morte! A morte! A morte!”, lo seguirono gli altri.

“Ehi, ehi, ehi, aspettate, ma perché?”, chiese Sandy sentendosi colpevole per qualcosa che non aveva fatto.

Tutti i presenti, pappagallo compreso, fecero un passo indietro profondamente offesi.

“Perché?”, disse a bocca aperta il pirata galante ma puzzone.

“Già”, rispose lei a braccia incrociate e guardandosi attorno, “ perché?”

“Perché? Ma sentitela, ha anche il coraggio di chiedere perché…”, disse il vecchio col fazzoletto prima di mettere una mano sul petto e stramazzare al suolo colto da infarto.

“Non ci sentite per caso? Siete sordi o solo stupidi?”.

“Ora basta!”, gridò il grosso pirata alzando la scimitarra, “questo è troppo!”.

Sandy si raggomitolò per difendersi e nello stesso momento qualcuno gridò dall’alto.

“Fermo!”

Tutti alzarono lo sguardo e si zittirono calando il capo.

Solo Sandy non abbassò gli occhi.

E lo vide.

Un maestoso capitano si ergeva al di sopra delle loro teste oscurando il sole.

I baffi lisci e il cappello con un grande pennacchio nero lo facevano sembrare ancora più affascinante.

Una grande blusa coi bottoni d’avorio e i lustrini luccicanti nascondeva un fisico principesco.

Il capitano della nave scese i gradini che lo separavano dal ponte.

“Presto, muovetevi!”, gridò un giovane pirata tremante a un manipolo dei suoi colleghi. All’istante, prima che il capitano toccasse le tavole di legno, il gruppo di lacchè si buttò uno dopo l’altro ai suoi piedi un attimo prima che posasse gli stivali di pelle, in modo da formare una lunga passerella umana al suo passaggio.

Mentre si avvicinava col suo passo regale, Sandy notò in lui qualcosa che non aveva visto prima. Un certo luccichio, molto forte, partiva dal suo corpo ogni volta che incrociava il passaggio dei raggi di sole.

Sandy capì solo quando il maestoso le fu quasi addosso.

Il capitano era fatto completamente di vetro, e all’interno era cavo, come un vaso sigillato. La luce vi passava attraverso e formava degli splendidi giochi colorati che ai pirati piacevano tanto.

Anche Sandy si dilettò alla visione di cotanta meraviglia.

“Fa lo stesso effetto a tutti”, disse annoiato.

Sandy sbatté le palpebre e lo guardò negli occhi alzando la testa, doveva essere alto almeno il doppio di lei.

“Mi scusi, Sua leggiadria, non volevo mancarle di rispetto”. Disse Sandy mani lungo i fianchi.

“E non hai ancora visto questo”. L’uomo di vetro si aprì di colpo la blusa, in un modo così repentino che Sandy rimase impressionata, non era sicura di quello che avrebbe potuto trovarci sotto, e infatti si impressionò, ma per un motivo leggermente diverso.

“Si, si, puoi ridere”, disse il capitano guardando altrove.

Nell’interno cavo del suo ventre un piccolo roditore, meglio conosciuto come criceto, correva allegro su una ruota.

“Si chiama Corrado, comunque”, disse guardandosi le unghie.

“Oh”, rispose lei.

Il pirata con la spada alzò la testa e si schiarì la gola, “il protocollo, capitano, il protocollo”.

“Oh, si, che scemo…uhm allora, Sandy, Corrado. Corrado, Sandy”

“Simpatico”

“È lui che mi consente di tirare avanti, sai?”, disse con la solita voce annoiata, “se smette di correre, io perdo forza, cado e mi rompo, e non è piacevole, poi qualcuno dovrebbe raccogliermi con una paletta e gettarmi nel cestino, ti sembra un destino degno di un duce?”

“Capitano”, si permise il solito pirata, “volevo dire di presentarsi Lei, Vostra Capitaneria”

“Mpff”

Il capitano puntò il dito verso il suo secondo in comando e nell’arco di tempo di una manciata di secondi le dimensioni del poveretto si ridimensionarono sempre di più, fino a diventare minuscolo.

Il pappagallo, che nel frattempo era uscito dalla tasca, guardò il suo piccolo padrone, poi guardò il capitano.

Un altro gesto del dito di vetro e l’animale crebbe fino a raggiungere le dimensioni del suo ex padrone.

Il pennuto sbalordito quanto felice fece un inchino di ringraziamento e si infilò il cappello, poi mise la scimitarra nel fodero.

“Ora sei il nuovo responsabile di questi buzzurri”, disse il capo.

“Signorsì signore”, obbedì gracchiando.

Detto fatto, prese l’omino di cui era stato servitore e se lo mise in spalla.

Poi il volatile gli puntò una penna contro.

“E non ti azzardare a ripetere quello che dico”.

CONTINUA, CONTINUA…