Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Nathan Gelsomino. QUARTA LEZIONE: IL MARS FRITTO DI NEWTON – 3

CHE MONELLO QUESTO GELSOMINO EH! CHE BIRBA, NON SI FA MAI TROVARE EH EH… COLPA SUA, COLPA SU… VABBE’. ECCO:

Il professor Ron si comportava in modo strano ultimamente, lo trovavano spesso nascosto dietro le tende di casa, sotto i letti o dentro le armature ornamentali. Si travestiva anche da lampada o cercava di mimetizzarsi con il colore della parete.

Non che la cosa gli riuscisse particolarmente bene, altrimenti non staremmo qui a raccontarlo con tanto di elenco, ma il suo proposito era così forte da fargli credere di essere invisibile e a volte, in tutta verità, ci riusciva pure, forse per merito del poco interesse che già la sua persona suscitava nella gente o forse perché col passare del tempo ci si era abituati alla vista di un grasso castrato steso in salotto al posto della pelliccia d’orso, non si sa, alla fine non ci si faceva più caso. Il professor Ron col tempo era diventato parte del mobilio, e neanche stonava tanto in alcuni casi.

Tranne quelle volte in cui, l’Altissimo solo sa perché, il suddetto trovava opportuno mascherarsi da coniglio gigante o da venditore di sandwich al formaggio a 99 centesimi cadauno nelle stanze di una casa nobiliare del XVII secolo.

Ma come già detto il suo proposito era molto forte, il professore infatti era determinatissimo a scoprire il segreto del piccolo Newton.

Un giorno si travestì da quadrato sull’ipotenusa e si mise quatto quatto ad aspettare dentro la stanzetta di Isaac. Il piccolo studio era in realtà un laboratorio in cui il bambino si chiudeva a volte anche per giorni interi a condurre esperimenti, escludendosi completamente dalla vita sociale e impedendo a chiunque l’ingresso. Il professor Ron ci era riuscito, anche se ovviamente Isaac lo aveva notato da subito; d’altronde un grosso quadrato sull’ipotenusa con i baffi e la panza non passa inosservato, ma non ci aveva fatto caso in quanto abituato da tanto a quella singolare e ininfluente presenza. Vedere il professor Ron in quello stato era come trovare davanti un vecchio tasso impagliato, posto magari sopra il caminetto di casa. In casi come questo (casi di quotidiana esperienza come ben sappiamo), soffermandosi qualche secondo ad ammirare la tenera bestiola, ci si può chiedere tutt’al più dove, quando e soprattutto perché un abominio del genere è stato comprato. Il piccolo scienziato entrò nello stanzino e posò gli incartamenti con gli appunti sul tavolo, si pulì le scarpe sul professor Ron e senza perdere tempo prese il camice, pronto a continuare i suoi esperimenti.

“Ecco, finalmente potrò assistere al procedimento segreto che tanto aspettavo, forse questa è la volta buona, la mia fatica sarà ripagata!”, pensò in tutta fretta il quadrato cercando di aguzzare la vista.

Isaac nello stesso momento iniziò a fischiettare, si trattava di un pezzo dei Rolling Stones, ancora molto in auge in quel periodo nonostante l’età avanzata degli artisti.

Ron pensò che stesse per applicarsi in una delle sue pensate segrete, il ragazzino prodigio accese prima un fuoco, lasciò scaldare una piastra posta sopra il fornello per qualche secondo, poi agitò una fialetta e la bevve tutta in un sorso.

Il professore si stupì, che diavolo sta facendo? Sta assumendo droghe per concentrarsi meglio? Per sognare? Per parlare con il demonio?

Isaac fece due o tre gorgoglii, poi sputò nel lavabo posto alla sua sinistra e si pulì la bocca con la manica.

“Aah alitosi, vincerai anche stavolta, vecchia brighella?”, disse il giovane scienziato, “Niente ragazze per Isaac, niente ragazze per Isaac”. E continuò a fischiettare.

NECESSARIAMENTE C’E’ DA TEMERE UN SEGUITO ANCHE STAVOLTA.

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Nathan Gelsomino. QUARTA LEZIONE: IL MARS FRITTO DI NEWTON – 2

A DIFFERENZA DI QUELLO CHE VI POTRESTE ASPETTARE, QUESTA NON E’ LA PARTE FINALE DEL DITTICO SU ISAAC NEWTON, PERCHE’ HO DECISO CHE SARA’ UN TRITTICO, DAL MOMENTO CHE MI TROVO STRANAMENTE ISPIRATO SU QUESTO TESTO. VISTO CHE SARA’ L’ULTIMA STORIA DI GNAM, MI SON DETTO, PERCHE’ NON CHIUDERE CON UNA BELLA TRILOGIA, COME VA DI MODA OGGI?

PERCIO’ ECCO A VOI IL SECONDO CAPITOLO, CHE DI SOLITO E’ SEMPRE CONSIDERATO IL MIGLIORE IN UN’OPERA IN TRE ATTI. MAH…

“Vieni qui, Gastrite!”, disse il piccolo Isaac facendo un ampio gesto con la mano. “Dai vieni bello, vieni dal tuo padrone!”. La voce del bambino squillava per la felicità. La povera bestia, un cane vecchio di vent’anni, alzò a malapena la testa. Ti prego, dammi la morte, sembrava implorarlo. In effetti Gastrite non era un cane, era un grosso topo che a furia di sentire la leggenda metropolitana secondo la quale grossi topi sulle spiagge vengono scambiati per cani da stupide signorine in età puberale, si era convinto a fare il cane, più per convenienza che per convinzione, che si sa, i cani sono un’anticchia visti meglio. Gastrite era andato a scuola, sua madre aveva voluto che studiasse e diventasse una zoccola (era dei pressi di Napoli) istruita, ma subito erano cominciati i problemi. Tu non sei un cane! Gli gridavano. Ma io ho quattro zampe come voi, replicava Gastrite, e i baffi, e la coda, e un folto pelo irsuto sporco di sangue ed escrementi. Al che i cani ci pensavano un po’ su e dicevano si beh in effetti. E poi io porto le infezioni tra gli uomini. Ah! Facevano gli altri, và che bravo. Bravo, bene! Fagli vedere a quei puzzoni a due zampe. E così Gastrite arrivò fino all’università, a due esami dalla laurea però abbandonò, con grande dispiacere di sua madre, che aveva perso un marito in una trappola al formaggio, e ora vedeva il suo unico figlio immerso nel mondo della disoccupazione.

In verità, come abbiamo già detto, Gastrite non era un somaro, infatti era un topazzo schifoso. Ma sto divagando.

L’importante è che Gastrite non si laureò mai e si ritrovò costretto ad accettare il compito di cane della famiglia Newton. Questo succedeva quindici anni prima, e quando Isaac era solo un bambino Gastrite era già un povero vecchio cane grigio e morente. Si trascinò ancora qualche per qualche passo, in direzione del bimbo che gli sorrideva. Le zampe gli tremavano tutte e sentiva la vita scivolargli via. Gli occhi, ormai appannati e strabici, rotearono un paio di volte, poi Gastrite stramazzò al suolo stecchito. Isaac rimase immobile, pensando a un altro gioco del suo vecchio amico peloso, ma poi dovette constatare l’ora del decesso alle 14:31 dell’anno del Signore 1653 e chiamare la serva affinché buttasse quella carcassa immonda nella spazzatura. Mentre la servetta correva a procurarsi ramazza, paletta e un bustone di plastica nero, arrivò la madre di Newton, accompagnata dal suo precettore, Sir Aldous Loxley. Il precettore della madre, non di Newton. Infatti lei era una somara, al contrario del fu Gastrite che invece era un topo.

Il precettore di Newton, insomma, arrivò dopo. Loxley mentre camminava cadde in un buco e nessuno seppe mai più niente di lui, d’altronde nessuno se ne interessò, perché era un uomo noioso e aerofagita. Solo di tanto in tanto lo si menziona, più che altro perché aiutò a scrivere una battuta molto stupida sui precettori. Il precettore giusto, quello che serve a questa storia, spuntò da dietro un fagiano.

“Ah, bene, vedo che c’è anche il professor Ron, che piacere averla qui”, disse la madre al precettore del ragazzo. “Lei senz’altro saprà aiutarci”.

Il professor Ron era un noto cantante castrato italiano convertitosi all’insegnamento della scienza tra gli infanti delle ricche famiglie, tuttavia era un uomo umile, non si dava arie, al contrario di Loxley, come sappiamo. Quindi, nonostante la famiglia di Newton fosse poverissima, accettò di buon grado di istruire quel bimbo tanto portato per le scienze.

“Professore”; fece la madre, “lo sa che assomiglia a un noto castrato italiano? Sa che non riesco proprio a togliermi dalla mente questa immagine? La sua arte è molto apprezzata e imitata nelle corti europee”.

Il professor Ron voleva nascondere la sua identità e fece spallucce.

“Lei è sempre di così poche parole, professore…”

Fece spallucce di nuovo.

Non ridete. Non c’è niente da ridere. Non è semplice per un castrato nascondere la propria identità con un semplice “ah ah ah, si, si, me lo dicono tutti, mi sono convinto anche io di assomigliargli!”.

Non può.

Insomma, entrambi andarono vicino al bimbo e dissero “Povero Gastrite, ormai era proprio una vecchia scrofa, prima o poi c’era da aspettarselo”.

“Aspetti, signora!”, fece Ron avvicinandosi al cadavere del povero animale. “Guardi! Non è una scrofa, è un topazzo!”.

“Professore, che strana voce che ha… sa chi mi ricorda?”

“Non c’è tempo, guardi”

La madre guardò.

“Ma guarda tu, io ho sempre pensato che fosse una scrofa”, replicò la donna.

“Io un cane”; aggiunse il piccolo Newton.

“Io mia moglie”, fece Loxley dal buco aggiungendo una risata di complicità. Ma nessuno rise.

“Io il signor Loxley”, disse la serva.

“Io un aspirapolvere a bidone”, disse Arthur Amboid, il vicino di casa, che aveva assistito a tutta la scena dalla sua finestra sopra la staccionata.

“Io il signor Loxley”, disse il fratello della madre, zio Harold.

“Io il mio professore di geometria delle medie, il professor Zamboni”, ridisse la madre.

“Perché, c’era qualcosa?”, disse lo zio cieco.

“Va bene, basta così”, disse a voce alta Ron.

“Insomma”, fece la madre, “ci siamo fatti prendere il giornale da una pantegana gigante per vent’anni?”.

“Questa è una strana famiglia”, concluse Newton.

Ma mentre tutti discutevano accavallandosi uno sull’altro in una babele di voci, pensieri e ricordi in libertà sul povero Gastrite, il professor Ron si già interessato a un particolare che considerava fondamentale, si riservò tuttavia di parlarn… di scriverne a Newton in un altro momento.

Un altro momento:

“Dimmi, piccolo Isaac…”

“Che strana voce professore. Lei mi ricorda…”

“Si, si, va bene, va bene”, lo interruppe bruscamente lo scienziato agitando la mano.

“Eh, oh”, fece il bambino.

“Senti, Isaac, perché hai chiamato il tuo cane…”

“Vuole dire la zoccola di fogna, professore?”

“Si, si… perché hai chiamato quella cosa Gastrite…”

Il piccolo Isaac si chiuse immediatamente, il suo sguardo divenne severo, come se avesse intuito un inganno nelle parole del castrato. Ron capì che il bambino aveva qualcosa da nascondere… qualcosa che avrebbe difeso con la vita, un segreto troppo grande per essere confessato. Sicuramente era più sveglio di quanto apparisse, un bambino perfettamente a suo agio con le cose dei grandi. Avrebbe fatto strada. Tra le sue ipotesi quella che aveva sempre considerato la più pertinente riguardava l’interesse quasi ossessivo del piccolo verso i trattati di alchimia, le opere di Paracelso, Bacone, Giordano Bruno e Tommaso D’Aquino. Sembrava credere più nella magia che nella scienza, quel bambino certamente aveva scoperto qualcosa di molto importante, così decise di spiarlo.

“ALT!”

“Perché?”

“Devo ordinare un’altra birra”, dissi al vecchio alzandomi dal tavolo. “Il tuo racconto mi ha messo sete, e sappi che ho dei forti dubbi che le cose siano andate così, anzi credo proprio che tu mi stia mentendo, vecchio di plastica”

“Ah, si?”, fece quello stizzito.

“Si”

“Allora non saprai mai qual è la vera storia di Newton”

Mi soffermai a pensare, dopotutto quel racconto, per quanto bislacco, stava cominciando a piacermi. Il vecchio, sebbene tenesse una fiatella tremenda, tipo fogna di Calcutta, aveva un certo talento nel raccontare. Mi ero addormentato solo tre volte, un record per me. Solitamente avrei accoltellato direttamente il narratore o gli avrei spaccato il bicchiere sugli occhi, come da abitudine.

“Va bene vecchio, ti ascolto, anche se non so perché lo fai. Che vuoi da bere, offro io”

“Per me un gin lemon”

Maledetti anziani, pensai, non si smentiscono mai. Andai al bancone del pub, la cameriera mi guardava, ma io cercavo di ignorarla. So che sapeva, l’unica cosa che potevo fare era sperare che il tempo giocasse dalla mia parte. Perché il tempo dite? Non lo so, l’ho dimenticato, nei libri seri però scrivono così. Ma vedrete che alla fine di questa storia ogni cosa sarà spiegata.

Ovviamente non sarà così, mi auguro che voi lo sappiate benissimo.

No, ma forse sarà così.

Ma sto divagando.

Presi posto tra due sgabelli e aspettai il mio turno. C’era molta gente quella sera, il pub era pieno, devo dire anche allegro, si, l’atmosfera trasmetteva un senso di benessere. Sarà perché la porta del bagno era chiusa, sarà perché certe magie riescono solo nei pub, sarà per via di quantitativi spaventosi di alcol nel sangue. Sarà, sarà, sarà. L’importante era che Joe DiMaggio avesse segnato quell’home run con gli Yankees il 30 settembre del ’51.

“Ehi”, mi gridò il barista, “dico a te, noi i droidi qui non ce li vogliamo”

“Va bene, va bene, calmati”. Accompagnai i miei droidi protocollari fuori dal locale e dissi loro di aspettarmi lì.

Quando tornai, il vecchio Chube mi fece un segno con la sua testa pelosa come a dire “bevici su”. Finalmente l’uomo dietro il bancone si decise a servirmi e presi il mio bicchiere. Sentii una mano toccarmi sulla spalla, un brutto ceffo mi squadrava con aria minacciosa.

“Non piaci al mio amico”, disse. Alle sue spalle un altro orrido essere mi guardava male. Immaginai che fosse per via del mio cappellino con l’elica della Cambridge University.

Non dissi nulla, sapevo che cercavano grane e rispondere avrebbe fatto solo il loro gioco.

“In verità non piaci neanche a me”, disse scuotendomi la spalla ancora più forte e avvicinandosi di un altro passo. Il suo sporco amico continuava a fissarmi.

Per spaventarmi mi disse di essere condannato a morte su 12 sistemi planetari diversi, era un ricercato, si vedeva, non facevo alcuna fatica a credergli. E devo ammettere che in quel momento ebbi paura sul serio.

“Starò attento”, fu l’unica cosa che riuscii a rispondergli. Pensavo di potermelo levare di dosso con parole ferme ma non offensive, invece quello si adirò ancora di più.

“Invece sarai morto!”, mi urlò.

Mi scaraventò a terra con una manata, andai a sbattere con un altro tavolo che rovesciai con tutto quello che c’era sopra, per poco non svenni. Più che altro per tutta la birra sprecata. Finsi di essermi fatto malissimo e piansi come un bambino.

L’amico del condannato a morte estrasse la pistola per farmi fuori all’istante. Vidi la canna puntata contro di me, poi il suo braccio cadde ai suoi piedi e un fiotto di sangue caldo investì tutti gli astanti al bancone. L’uomo gridò e cadde all’indietro fracassandosi la testa contro il bancone di legno del pub. Non potevo crederci, cos’era stato? Era successo tutto così velocemente che neanche mi accorsi della mano che Fitta Allostomaco mi tendeva da qualche secondo.

“Aggrappati ragazzo”

Mi alzai asciugandomi le lacrime finte e feci in tempo a vederlo mentre riponeva la sua spada laser sotto il mantello.

Tutta la gente nel pub si era fermata per assistere allo spettacolo, quelli violenti erano sempre ben visti in Scozia, poi come se nulla fosse tornò alle solite occupazioni, bere, giocare a dadi e fare a cazzotti.

“Ti sei fatto la bua?”, mi chiese.

“Gno, gno, non mi sono ‘atto niente, quello lì è solo butto cattivo invidioso”, risposi mentre Fitta mi prendeva a cavalluccio sulle spalle e mi faceva fare il trotto per calmarmi.

“Oplallà! Oplallà!”

Tornai a sorridere.

Con la manina stretta nella sua tornammo al nostro tavolo.

“Ho dimenticato la birra”, dissi.

Quando fui di nuovo ubriaco, Fitta tornò a raccontare.

FINE SECONDA PARTE

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Nathan Gelsomino. QUARTA LEZIONE: IL MARS FRITTO DI NEWTON – 1

Cari studenti e care studentesse (fuck yeah! Sono politicamente scorretto! Ho messo gli uomini prima!), come ben sapete durante questo anno accademico abbiamo affrontato e studiato una serie di cazzate micidiali. Io ho anche affrontato e studiato gli atti del mio processo per una condanna per corruzione di giovani, vilipendio all’intelletto, e per aver tentato di estirpare il diavolo dal professore di scienze appiccando fuoco alla sua veste, perché reo a mio dire di aver affrontato l’insegnamento della teoria di Darwin. Purtroppo quel discepolo di Satana è riuscito a farla franca, ma la mia lotta contro l’evoluzionismo non termina certo qua, non sarà un tribunale speciale a fermarmi. Ora però, scusatemi, ma devo andare, un gravoso impegno accademico mi attende: devono farmi alcune foto, finirò sui trattati scientifici come prova vivente della teoria evoluzionista. Ah ah, poveri sciocchi, non sanno cosa li aspetta, stanno facendo entrare la volpe nel pollaio, fingerò di essermi arreso solo per portare il caos all’interno delle loro stupide teorie, insinuerò il germe del disordine, lo streptococco del dubbio, la streptolisina della follia nelle loro menti, il mio metodo è meticoloso, ingegnoso, inarrivabile, ardito, un vero piano machiavellico. Una volta dentro farò un sacco di smorfie di nascosto davanti l’obiettivo.

Ora però vi devo lasciare veramente, sta arrivando mio cugino, il professor Nathan Gelsomino, credo sia giunto il momento di andare oltre. Potete fidarvi di lui, se io sono una prova della teoria dell’evoluzione per la selezione naturale, lui lo è sicuramente per la deriva genetica.

IL MARS FRITTO DI NEWTON – IN 2 PUNTATE

PRIMA PUNTATA

Dunque, se qualcheduno affermasse oggi che la terra è immobile al centro dell’universo, circondata dalle sfere celesti, chiunque lo prenderebbe per matto, folle, arrogante, ignorante, reazionario.

Non certo noi di Gnam, che alla concezione Tolemaica dell’universo ci crediamo. Infatti quel qualcheduno ora è presidente del gruppo editoriale “Trangugia & Divora” che possiede la nostra rivista. Lo abbiamo eletto all’unanimità ieri l’altro, durante una seduta speciale. Nella fattispecie, io, professor Nataniele Nathan Gelsomino, cugino dell’illustre Robert Orso Maria Frickerton, fregiato del titolo Dame Grand Cross of the Order of the British Empire (avevano finito quelli da uomini), sfregiato da un sudamericano ubriaco, sostengo una ricerca ancora più sconvolgente: la storia segreta di Isaac Newton, nobile padre della meccanica classica.

Ebbene, mentre mi accingevo a mettermi le dita nel naso nella noia di una domenica pomeriggio, trovai nella narice sinistra un prezioso manoscritto tutto impolverato, dall’aspetto alquanto antico e probabilmente nascosto da moltissimo tempo, secondo la prova del Carbonio 14 almeno almeno da giovedì scorso, almeno. Quando ebbi lesso non mi crederei ai miei occhi. Infatti avevo bisogno delle scuole serali. Le frequentai per un paio d’anni e finalmente imparai un poco di grammatica, ma purtroppo prima di andarci non sapevo leggere così sbagliai indirizzo ed entrai in una scuola serale per sordi, purtroppo le lezioni erano tutte nel linguaggio dei gesti e così non imparai nulla. Andai allora in una scuola per sordidi, e lì imparai a giocare ad Asso piglia tutto, mi presero tutto, anche i calzoni, ma non mi offesi, d’altronde erano sordidi. Alla fine mi dissero che ciò che ritenevo un documento sconvolgente era solo un ombrello.

Uscii di casa per schiarirmi le idee e riprendermi dalla delusione.

Pioveva. Peccato non aver avuto un ombrello a disposizione.

Buttai il manoscritto nel cestino.

A quei tempi abitavo in Scozia, per questo pioveva molto. In Scozia quando piove è abitudine andare a ubriacarsi, quando non piove invece è uso giocare a chi lancia il sasso più lontano. Dopodichè il vincitore porta tutti in taverna e ci si ubriaca. In quel caso però la pioggia non fa più tanta differenza.

Insomma, ero in Scozia, e feci l’unica cosa che si può fare in Scozia, entrare in un pub e disquisire dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Isacco Newton.

Ordinai 27 birre, mi portarono una vasca da bagno e una cannuccia. Per fortuna ne avevo un’altra trovata in metropolitana, non mi fido delle cannucce dei pub, mio cugino mi ha detto che sono le stesse da cui hanno bevuto anche altre persone, le girano e te le danno come nuove. Non si sa mai, non volevo prendere qualche malattia come la gonorrea o il carbonchio. Non una terza volta perlomeno.

Mentre guardavo con sospetto la cameriera e le sue cannucce, addentai un topo che passava di lì furtivo. Stupido, pensavi non ti avessi visto, è da quando sono entrato che ti ho messo gli occhi addosso. Puah, insipido. Non c’è mai da fidarsi della cucina di un pub. Volete un consiglio? Evitate i pub se volete cenare, evitateli. In Scozia ci sono solo pub, ma pochi sanno che si può aggirare questa dittatura culinaria con un metodo conosciuto da tempi remoti da tutti gli esperti viaggiatori: non mangiare.

La cameriera di quella bettola mi guardò; sorrideva l’infingarda. So io cosa stava pensando: “ecco un altro pollo che abbiamo fregato, povera misera marionetta del sistema che beve dalle nostre cannucce, stringiamo la tua vita nel nostro pugno, ti manovriamo ogni volta che la tua sete di birra ti porta sulla nostra strada. E tu pensi di essere il capo, il cliente ha sempre ragione, cameriera un’altra birra, presto. E così pensi di essere il centro del mondo, l’artefice del tuo destino da pub, l’homo faber della pinta. E invece sei solo un pirla spaziale”. Questo pensava. Ma io sono più furbo e così feci finta di essere caduto in trappola, mi finsi solo un altro dei loro burattini caduti in questa oscena recita infinita, poveri ingenui Mangiafuoco, non sono il vostro Pinocchio. Allargai un sorriso in direzione della poverina e alzai la vasca da bagno nella sua direzione. Brindo a te, mostruosa creatura, il mio intelletto vincerà. Il vostro regno del terrore è alla fine, l’umano raziocinio avrà la meglio sui vostri piani di morte. I pub torneranno liberi e pieni di stupidi maschi bianchi. Perchè Noi abbiamo i sentimenti, la voglia di vivere, e nulla ce la toglierà. Tranne un grosso dinosauro, il fantasma di Van Gogh o una pioggia di asteroidi zombi, questi si, ce la toglieranno.

Deglutii con un sorso quattro delle ventisette birre.

La cameriera voltò le spalle a questo spettacolo empio e se ne andò disgustata. O almeno così mi piace immaginare, visto che sono io a raccontare.

Fu in quel momento, mentre abortivo un rutto tremendo con la manica del pastrano verde oliva che usavo abitualmente per pulirmi la bocca, che udii una voce celestiale accanto a me.

“Chos t’ne rett nu’kk ha?”

Appoggiai la schiena al muro e i miei occhi si posarono su vecchio decrepito e schifoso che giaceva sotto il mio tavolo. Le mie ghette lo avevano ferito in più punti, ci poggiavo infatti i piedi sopra, pensando fosse una moquette d’orso. I tacchi avevano aperto ferite notevoli, e all’ennesimo colpo sugli occhi e sul muso l’orrido befano aveva trovato la forza per dire qualcosa. Lo feci alzare e accomodare sulla seggiola accanto alla mia.

“Qual buon vento ti porta in questa osteriola, essere dal tremendo fetore?”

A guardarlo bene era più brutto dell’Alzhaimer.

“Se mi offri da bere ti conto una storia”

“Che tipo di storia?”, chiesi sorpreso al vecchiazzo.

“Oh, una storia che ti piacerà. Una storia che stai cercando da molto tempo”

Il demente abbozzò un sorriso di complicità socchiudendo gli occhi, ma senza denti il volto cambiò in una maschera se possibile ancora più grottesca. Quello squarcio impreciso che portava al posto della bocca era orripilante, fu come se le porte dell’inferno si fossero spalancate. Ma ero anche troppo curioso, e poi non avevo nulla da fare. La lezione di balletto l’avevo già rimandata a martedì.

“Ti va bene un’aranciata?”

“Mi prendi per il…”, rispose furioso.

“Cameriera, una gazzosa per il signore”

Lo presi per il collo e lo trascinai all’angolo.

“Brutto storpio cos’è che mi stai nascondendo? Non mi dire che eri qui per caso”

Nei suoi occhi lessi paura.

“Se vuoi conoscere il segreto, vieni con me…”.

“Va bene”, dissi alla fine.

2 MINUTI DOPO.

“Perché siamo nel bagno?”

“Io dovevo pisciare…. Aaahhh”. Zip.

“Ma hai detto se vuoi conoscere il segreto vieni con me, io sono venuto, mi hai portato al cesso”

“Beh si, dammi un secondo, dovevo pisciare, te l’ho detto. Non la racconto bene se mi scappa”

Mi limitai ad annuire.

“A proposito, io mi chiamo Fitta Allostomaco”

“Piacere, Nathan Gelsomino”

Ci riaccomodammo al tavolo, siccome non mi ricordavo se si era lavato le mani mi tenni a distanza di sicurezza. Sotto la luce di una candela mi accorsi che il rivoltante sacco della spazzatura che mi trovavo davanti era anche guercio.

“Fitta Allostomaco hai detto, eh? Ho già sentito questo nome”

Era vero, mi suonava familiare, sentii come un campanello nella testa. No, era veramente un campanello, quello che da piccolo mi ero infilato su per il naso, un tempo era stato la mia fortuna, quando lavoravo come fenomeno da baraccone, ma ora… le mode sono cambiate, i circhi dei freak chiusi, la gente non ha più voglia di divertirsi con spettacoli semplici, ricchi di sentimento. Che volete, i bambini ormai crescono in fretta, nessuno si diverte più con giochi innocenti, come tirare pietre in faccia al forzuto, bruciare la barba della donna barbuta, fare il tiro al piattello con l’uomo proiettile, suonare la trombetta da stadio all’insaputa del trapezista, o deridere quello grasso, quello smilzo, quello storpio, portarli in giro per il paese durante il carnevale, eleggerli re dei folli e poi chiuderli alla gogna e bersagliarli di uova marce e sputi. Comunque ogni tanto suonava ancora.

Intanto arrivò la cameriera con la gazzosa, senza dire una parola posò una cannuccia accanto alla bottiglia come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Aspetta!”, feci al vecchio fermando la sua mano, “usa questa”

Gli porsi di nascosto la mia cannuccia.

“Grazie, ma ho la mia”

NON CI POTESSI CREDERE! (Ve l’avevo detto che la scuola dei sordi non è servita a niente, e pensandoci bene sono ancora senza calzoni. Per fortuna oggi ho messo le mutande).

Allora lui sapeva!

“Già”, fece il guercio, e aprì la giacca per mostrarmi un simbolo, una croce fatta con le cannucce. “Ordine della Cannuccia”, disse indicandolo con un certo orgoglio.

“Tu sai della cospirazione dei pub scozzesi’”, dissi senza trattenermi.

“Parla piano, idiota”

“Infatti, guarda quell’idiota come urla”, dissi guardando un avventore seduto vicino, “che maleducazione, deve essere ubriaco”

“No, dicevo a te”

“Capisco”

“Si, so tutto. Per questo sono qui. No, non è vero, sono qui perché mi volevo sbronzare, ma fa lo stesso. L’importante però è che anche tu sia qui”

“Già, ma perché?”

“Ti ho udito parlare spesso dei Principia di Newton in questa taverna, credo che tu sia l’uomo giusto”

Quella fetenzia umana aveva appena nominano Newton, cosa c’entrava il grande scienziato in questa faccenda? La mia curiosità era alle stelle. Ormai ci ero dentro, e dovevo andare fino in fondo. Lo esortai a parlare, a dirmi di più.

“Vedi, tutto ha a che fare con il Mars fritto, noto piatto scozzese. Fin dai tempi antichi una cospirazione culinaria guida le sorti di questo paese, ancora oggi è in atto e noi tutti siamo le vittime inconsapevoli. Tutto ciò che sai su Newton è stato cambiato, in realtà lo scienziato fece molto di più, ci sono alcune cose nella sua vita che sono tenute nascoste, è proibito parlarne. Per questo è stato creato l’Ordine della Cannuccia, noi siamo i protettori della cucina dei pub. Come ben sai Newton è stato anche un grande alchimista e ghiottone, i suoi interessi ricadevano sulla magia e i testicoli di maiale fritti. Quando le sue passioni per l’occulto e la frittura si unirono ciò che venne scoperto era pronto a rivoluzionare l’intero genere umano. Non fu il primo degli scienziati, neanche l’ultimo dei maghi, ma il primo dei Frittori”

“Mio Dio!”

“Io lo chiamo… l’Untore”

“Ma come fai a sapere tutto questo?”, chiesi d’un fiato. Non riuscivo a credere alle mie orecchie, come avevo imparato alla scuola per sordi.

Fitta Allostomaco mi guardò dritto negli occhi a lungo, come se cercasse un’ulteriore prova della mia affidabilità.

“Perché io ero lì, con lui!”

LA SECONDA EULTIMA PARTE A BREVE (STAVOLTA SUL SERIO).

Tanto non la leggete perchè siete sordi.

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Robert A. A. Frickerton. TERZA LEZIONE: FRITTURA E IMPRESSIONISMO

Cosa unisce l’Impressionismo e la frittura?

Nulla, ci mancherebbe altro, cerchiamo di essere seri per una volta, santoiddio. Ma che è? Siete impazziti forse? Così si spaccia per buona un’ipotesi delirante, l’accesso al sapere dei nostri giovani è già fortemente minato da ben altri problemi, non abbiamo bisogno di un’altra buffonata diffusa tramite internet da sedicenti “tuttologi”. E’ UNA VERGOGNA! UNA VERGOGNA BELLA E BUONA!

Risponderebbe un ignorante.

Ciò che il suddetto ignorante non sa o finge di non sapere è che l’esperienza della frittura è stata invece fondamentale per la nascita dell’Impressionismo. In questo breve saggio cercheremo di spiegare il perché.

La frittura introduce importanti novità nell’arte già dalla prima metà del XIX secolo, fondamentale fu l’esperienza degli artisti di corrente romantica e realista, che nel rompere con la tradizione avviarono un processo di ricerca basato su aspetti totalmente nuovi: la negazione della casserole (traducansi padello, piastra, piastrone, macchia, chiazza, frittella, pillacchera, scaldaletto, scaldino, padellona, detto anche piastrum, impiastrum, acc. dal quale impiastro in lingua italiana, dal “Vocabolarione delle parole francoalgerine nella traduzione latino-italiana”, a cura di Achille Marialaura Sfratti della Bietola e Marcovaldo Belindi Sfrazzapalle) come unico strumento nobile atto allo scopo, certamente nella visione del Romanticismo e del Realismo la casserole era un vecchio e sorpassato retaggio dovuto all’impostazione accademica che perdurava nell’arte ufficiale, in quella considerazione che ancora faceva presa in molti artisti dell’epoca e che durò almeno fino al primo decennio della seconda metà del secolo. L’intento delle nuove correnti era di portare sullo stesso piano la padella, il tegame fondo, il tegamino per l’ovetto alla coque (molto considerato per il simbolismo cristologico) e la teglia da forno, all’epoca ritenuta un volgare sottoprodotto per il proletariato, ossia per la frittura di livello popolare, quella che usava lo stesso olio di mais per più d’una frittura, abbondava con l’uovo e il pan grattato sulle cotolette, inseriva il prosciutto e il formaggio tra una melanzana fritta e l’altra e innaffiava di ciccioli di maiale le frittate. Dunque una vera e propria provocazione, che indispettì molti dei grandi pittori cuisiniers del tempo ma suscitò l’interesse della neonata critica alternativa, il Mangiarozzo, il Mangelo e il Gambero Rozzo.

La riscoperta della frittura all’aperto, il mito del cuoco ribelle alle convenzioni, l’interesse rivolto al momento della frittura piuttosto che al risultato finale, sono tutti elementi che influirono molto sugli artisti successivi che si riconobbero sotto il nome di impressionisti. La prevalenza della soggettività dell’artista, dell’emozione nell’atto di dipingere che non va nascosta o camuffata, anzi colta carpe diem, lì sul momento, perché irripetibile in altre situazioni, fu il punto di partenza per una seria di correnti sperimentali che successivamente si affermarono. I tratti sfumati, le linee sinuose, l’unione tra cielo e terra, i corpi incastonati nell’ambiente e non prevalenti su di esso, cosa possono essere se non il risultato del desiderio di trasporre la frittura sulla tela? Tutto ricorda il muoversi libero e avvolgente della cucchiara di legno nell’impasto, della forchetta che sbatte il tuorlo dell’uovo citato nel sole circolare e arancione dei quadri di Monet (si guardi a tal proposito Impression, soleil levant). E poi, aggiungiamo, è un caso se dipingevano con colori a olio? A noi basta questo. Olio su tela: una prima sincera, anche se rozza, volontà di portare il fritto nella pittura. Certo, i primi esperimenti furono all’insegna dello sperimentalismo puro, in altre parole dell’interazione primitiva tra gli elementi base di entrambe le arti, l’olio e la tela. Sappiamo che i primi pionieri gettavano secchiate di olio di oliva sulle tele, spendendo fortune (per questo motivo gli impressionisti erano poveri ed erano costretti a ricorrere a materia di scarto, come l’olio Friol), ma col tempo il tratto e la tecnica si affinarono, le secchiate divennero più precise, meno abbozzate, sicure già al primo colpo. L’arrivo del pennello, poi, fu una rivoluzione, non più adibito solo a girare la pasta il pennello permetteva una precisione ricercata, minor spreco d’olio e le giacche più pulite, mettendo fine così all’epoca chiamata “Olio su giacca”.

Gli impressionisti friggevano all’aperto con il fornelletto portatile, con una tecnica rapida che permetteva di completare l’opera in poche ore. Come già detto, essi volevano riprodurre su tela le sensazioni e le percezioni olfattive che un bel fritto misto di calamarozzi, seppioline e moscardini appena pescati comunicava loro nelle varie ore del giorno e in particolari condizioni atmosferiche, lo studio dal vero eliminò il lavoro al chiuso, in atelier, che tra l’altro impuzzunava tutti i vestiti, e avoglia poi a lavatrici a pedali o lavanderie cinesi, che poi quelli ci avevano l’oppio nel retrobottega e si usciva all’alba fatti come una pigna.

A volte gli artisti maudit arrivavano nella loro ricerca a collaudare tesi estreme: il noto pittore e cannibale Vincent van Coque arrivò a tagliarsi un orecchio per comunicare meglio con sé stesso, il suo intento era infatti di friggerlo e ampliare la percezione della frittura dall’olfatto all’udito, cosa che peraltro poteva già fare con l’orecchio al suo posto, ma era pazzo, capite? P-A-Z-Z-O, pazzo. Finì i suoi giorni in un ospedale psichiatrico. Se il suo fantasma o il suo cadavere mummificato e assetato di sangue non tornerà a reclamare vendetta, la sua orrenda parabola potrebbe anche dichiararsi conclusa e le nostre vite in salvo, ma se dovesse tornare nulla potrà salvarci, capite? Nulla. N-U-L-L-A. Nulla. Affidatevi al vostro dio, se ne avete uno, e pregate per la vostra anima. Il fantasma di una mummia di un pittore impressionista non perdona, non lascia scampo. Lui vi troverà, ovunque voi siate, ovunque vi nascondiate, perché ha i poteri paranormali, e dopo che vi avrà strappato il cuore proseguirà allo stesso modo con la vostra stirpe nei secoli dei secoli, fino alla fine del mondo. Per l’eternità, capite? Eternità. E-T-E-Y-U-P, quella.

Nuovi stimoli vennero anche dall’esposizione universale di Parigi del 1867, dove trovò sfogo l’interesse per la frittura esotica, involtini primavera, ravioli di carne, noodles fritti con l’uovo, nuvole di drago, gelato fritto e altre schifezze da 3 euro e 50, il piatto preferito dagli universitari che poi si chiedono perché a 32 anni sono morti. Non c’è molto da dire, era semplice, 3 euro e 50, era tutto lì il senso, bisognava pur farsela qualche domanda, cosa vi aspettavate?

Infine importanti novità giunsero dalle scoperte scientifiche, come la parannanza per coprirsi dagli schizzi d’olio, le presine per le pentole che scottavano e le “Leggi sull’accostamento degli ingredienti” di Eugène Cheyreul: queste furono alla base della teoria impressionista sul colore, che suggeriva di accostare colori senza mescolarli così come la pastella e il baccalà devono essere l’uno l’involucro dell’altro e allo stesso tempo rimanere separati per assaporarne meglio la fragranza, in modo tale da ottenere superfici non uniformi bensì vibranti e vive.

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Robert A. A. Frickerton. SECONDA LEZIONE: LINGUISTICA DELLA FRITTURA

Riassunto della prima settimana: Kant ha messo su 9 kili. Kant è disperato perché si avvicina la prova costume.

LINGUISTICA DELLA FRITTURA

Il contributo più grande alla linguistica della frittura lo da, come ben sappiamo, il linguista svizzero Ferdinand de Saussure (Ginevra, 26 novembre 1857 – Vufflens-le-Château, 22 febbraio 1913). Saussure intende la frittura (friture) come la potenzialità universale di sviluppare un sistema di segni.

La friture intesa come sistema di segni che formano il codice di una ricetta, va distinta dalla recette, cioè dall’insieme di atti fritturiali di colui che si accinge a mettersi ai fornelli, che è individuale e irripetibile (soprattutto nel caso il risultato sia una schifezza).

Non esiste il concetto di frittura come “nomenclatura” (cioè una corrispondenza naturale di cibi e olio sfrigolante) e la patacca d’olio è un’entità costituita da una unione arbitraria di un concetto e della sua immagine.

Esistono due punti di vista da cui osservare la frittura, che si traducono in due modalità di studio: la frittura sincronica che analizza lo stato della lingua quando ci si infila in bocca una crocchetta di patate appena uscita dalla padella, e la frittura diacronica, che studia l’evoluzione della lingua da quando, in tenera età, ci si è infilati la prima crocchetta di patate in bocca, lo studio nel tempo continua fino all’età adulta, quando non paghi del dolore cosmico provocato dalle ustioni ci si continua a ingozzare di cotolette fritte ancora prima che vengano poggiate sulla carta assorbente. Piuttosto curioso è lo spettacolino che segue:il soggetto saltella per la cucina con la bocca aperta dandosi piccoli schiaffetti sulle labbra prima di gettarsi sulla prima bottiglia d’acqua a vista. Ma questo riguarda l’antropologia, un altro campo di studi.

Importante è inoltre lo studio che il linguista Antoine Meillet (Moulins, 11 novembre 1866 – 21 settembre 1936) ha condotto partendo dall’opera del suo maestro Saussure, ampliandone il campo di ricerca alle scottature del palato.

Iscrittosi dal 1885 alla Faculté des casseroles de Paris, seguì in particolare i corsi di Louis Havet alla Sorbona, di Michel Bréal al Collège de France de pommes de terre e di Ferdinand de Saussure all’École pratique des hautes études pour Cuisiniers.

Celebre è il suo capolavoro Aperçu d’une histoire de la langue grecque (1913) sugli effetti e le evoluzioni che i cibi fritti caldissimi hanno portato alla lingua dei greci, noti ghiottoni.

Per questo ora i greci hanno la lingua più dura e resistente del resto delle popolazioni europee e possono, come tutti sanno, mangiare chiodi e cocci di vetro. Ricordiamo per esempio i Souvlákia, tipico piatto greco, a base di pietre cotte ai ferri e infilzate successivamente in uno spiedino, oppure lo Giouvétsi, statua in plastica di Babbo Natale del centro commerciale arrosto con pasta cotta. Molto comuni le polpette di fango residuo sotto il paraurti delle macchine, le Soutzoukákia, spesso condite con un po’ di sugo al pomodoro, ma poco, per non rovinarsi il retrogusto di asfalto.

Il più famoso, ormai esportato in tutta Europa e quasi divenuto una moda tra i giovanissimi, è il Gyros o Gyro, una sorta di Kebab di cipolla e cipolla, praticamente c’è solo la cipolla, infatti non so perché si chiami Kebab. E’ una cipolla, e basta. Una cipolla di campo.

A volte però la cipolla viene condita con Tzatzíki, il soffritto di cipolla, arrotolata all’interno di un copertone di automobile, comunque rimane una cipolla. Al pari dei piatti di pietre o cipolla troviamo una offerta tradizionale di insalate ricche dei numerosi prodotti del luogo. La più famosa è senza dubbia la Khoriátiki Salàta, l’insalata alla Greca, con fette di lamiera, calce, e condita con nafta extravergine, terra, barba, scaglie di Partenone e pezzetti di eternit grattugiato. E un cetriolo. Così, per ridere un po’, in puro umorismo ellenico.

CONTINUA…

Corso di frittura creativa a cura dell’esimio profrittor Robert A. A. Frickerton. PRIMA LEZIONE: STORIA E FILOSOFIA DELLA FRITTURA

Cari studenti e care studentesse, cari discepoli e care discepole, innanzitutto vi chiedo scusa per il ritardo, ma si sa, in ambito universitario è concesso il famoso “quarto di secolo accademico”.

Sono stato molto occupato nella giornata di ieri a causa del mio arcinemico, il perfido dottor Raymond D. Thesis, un personaggio alquanto oscuro e arrogante, mediocre pensatore, scrittore dalla prosa lenta e macchinosa, che ahimè ci accompagnerà almeno fino a luglio. Il malefico dottore mi costringe, infatti, a scrivere per lui pagine e pagine di inutili vicende che, a suo dire, mi permetteranno un giorno di acquisire un pezzo di carta bollato e pure un po’ sciatto ed entrare nel favoloso mondo del lavoro di questo povero paese delle banane.

Ma io ci credo poco, che volete, sono diffidente di natura. E alle banane dico no.

Suvvia, ora cominciamo, che già s’è fatto tardi.

 

La friture c’est désagrément

Che seccatura la frittura

(Voltaire, con il suo consueto umorismo da briccone)

INTRODUZIONE

Prima di introdurvi ai segreti della frittura creativa credo sia d’obbligo illustrare il percorso storico e filosofico che ha portato la società moderna a individuare nella frittura la base fondante della nostra civiltà.

Perché la frittura?

La frittura come diritto inalienabile dell’uomo è sancita già nella Costituzione Americana del 1787. Un principio in seguito ripreso durante la Rivoluzione Francese e applicato principalmente alle patate, non senza una serie di polemiche che fecero saltare un po’ di teste (ma per dire, mica per davvero). Per questo motivo le patatine fritte sono universalmente conosciute come French Fries. Il diritto alla ricerca della felicità, contributo di Thomas Jefferson alla Dichiarazione d’Indipendenza delle colonie americane, riconosceva invece la libertà di friggere qualsiasi cosa. D’altronde se uno trova la felicità nel friggersi le scarpe non vedo perché dovrebbe essere ostacolato. Partendo dal principio della fisica secondo il quale nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si frigge, abbiamo avuto nella Storia vari esempi di notevole importanza: le uova fritte, il pollo fritto, le cotolette fritte, i peperoni fritti, gli anelli di cipolla fritti, gli gnocchi fritti, il baccalà fritto, le alici fritte, il fritto misto, il pane fritto (frittelle), i fiori di zucca fritti, le zeppole fritte, le zucchine fritte, la frittata (di questa parleremo in un capitolo più avanti) e Folco Quilici.

Le rivoluzioni hanno portato un contributo fondamentale nello stimolo verso una maggiore consapevolezza dei diritti naturali dell’uomo. Per la prima volta infatti, il diritto alla frittura veniva trascritto su una carta che allontanava il libero arbitrio dai fornelli.

Frigere aude!

(Immanuel Kant)

Il merito dell’uscita dall’oscurantismo medioevale in fatto di tolleranza e libertà va però riconosciuto all’opera dei filosofi illuministi del XVIII secolo.

Sappiamo che per Immanuel Kant (filosofo e cameraman di Teleroma 56) virtù e felicità costituiscono insieme in una persona il sommo bene. La felicità, se corrisposta con la giusta quantità di moralità, coincide con il sommo bene di tutto il mondo. Dunque possiamo dedurne che trovando la felicità nel friggere, l’uomo virtuoso compie non solo il completamente di se stesso, ma anche quello di una società possibile. Nessuno può costringere un altro uomo a friggere secondo una regola a lui sconosciuta, ma ognuno può ricercare il modo di friggere più adatto alle proprie esigenze purché non leda la libertà alla frittura degli altri.

Insieme al diritto alla vita, la conquista del diritto alla frittura non è stata conseguita così facilmente come oggi potremmo pensare. Siamo abituati infatti a credere che appartenga all’uomo nel momento stesso della sua nascita, ma dobbiamo considerare che allora non eravamo ancora giunti alle conquiste moderne di McDonald, Burger King o Kahuna Burger, che oggi garantiscono a ogni essere umano, in qualsiasi parte del mondo si trovi, il diritto a immergere una patata nell’olio sfrigolante. Le catene di fast food con il loro prezioso contributo umanitario hanno permesso a chiunque di adoperarsi per il bene comune, ma la guerra contro la mancanza di fritto è ancora lontana dall’esser vinta, e nonostante i notevoli progressi c’è ancora tanto lavoro da fare.

ETICA E FRITTURA

La frittura è etica. La frittura in quanto tale non può prescindere dai percorsi della ragione.

Dati questi fondamenti è possibile affermare che la frittura, universalmente riconosciuta come giusta in ogni momento e in ogni situazione umana, senza possibilità di smentita, è da considerarsi morale?

Si, secondo Kant (filosofo e apicoltore).

È un imperativo categorico. La frittura diventa allora vincolante per la morale di tutti gli uomini, e una sua mancata applicazione significherebbe azione immorale.

Attenzione però, applicare l’imperativo categorico alla frittura non è da intendersi come l’applicazione di una forzatura, bensì come lo spontaneo aderire a una legge razionale che l’uomo stesso ha formulato per mezzo della propria ragione.

Cosa ne deduciamo?

Ne deduciamo che la frittura è giusta a priori, nella misura in cui diviene comportamento derivante da un procedimento razionale dell’uomo, in altre parole da quanto dettato dalla ragione.

Estensione di Frickerton: il bisogno di agire friggendo deriva da un bisogno naturale dell’uomo.

L’ASSOLUTO IN PADELLA

Ontologicamente se la frittura è attività divina è anche attività perfetta, essa non può esistere solo nella mente ma anche nella realtà, benché essa sia metafisica e quindi indimostrabile razionalmente, a meno che non si voglia fare il giuoco dello scetticismo.

Certo è che non si può pensare alla frittura come vetta più alta della ricerca intellettuale dell’uomo senza postularne l’esistenza.

STURM UND KARTOFFEL

Il Romanticismo si pone in aperta contrapposizione con l’idea illuministica della frittura, in quanto essa non ha saputo dare una spiegazione completa della frittura.

I Romantici si affidano così all’irrazionale dopo il fallimento della razionalità degli illuministi. La frittura si fa sognante, inquietante, guidata dai sentimenti e dalle emozioni.

Nel 1829 l’attributo romantico si estende dalla frittura a molti fenomeni collaterali, a testimoniare il successo della nuova concezione di stampo romantico, “fritto” entra nel gergo delle arti visive, delle sarte, delle modiste e persino dei cuochi, eh, e chi se lo sarebbe mai aspettato.

Ora, un po’ di termini a casaccio:

sublime: secondo i romantici, il fritto genera nell’uomo un senso di terrore e impotenza, definito appunto sublime. La sensazione giunge quando, dopo essere entrati nella cucina ove si stagliano padelle a perdita d’occhio, i costosi abiti che si indossano rimangono intaccati dai fumi del fritto. Dopo il piacevole stordimento iniziale avvertito fisicamente anche dal fenomeno che Schiller chiama “acquolina nella bocca” e che viene spesso rappresentato nei famosi dipinti di Tom & Jerry dell’epoca, sopraggiunge il senso di terrore, precisamente nell’istante  in cui ci si accorge di avere indosso i vestiti per l’appuntamento importante al quale bisogna recarsi e si è anche in un imbarazzante ritardo.

Il senso di impotenza, misto a disorientamento e angoscia, aggredisce l’uomo portandolo nell’indecisione se spaccare tutto o afflosciarsi sul divano più vicino piangendo silenziosamente. In alcuni soggetti si può arrivare a stati di allucinazione in preda ad estasi da sfinimento e visioni fantasmagoriche.

Sehnsucht: traducibile dal tedesco come desiderio del desiderio o male del desiderio. È la diretta conseguenza di quanto sperimenta l’uomo nei confronti della frittura, un senso di continua inquietudine e struggente tensione, un sentimento che affligge il soggetto e lo spinge a oltrepassare i limiti della realtà terrena. Allo stesso tempo l’uomo che si prepara a uscire di casa per recarsi all’appuntamento di cui sopra è respinto e attratto dall’odore di supplì, arancini e cotolette che la nonna gli sta preparando.

PATACCHE D’OLIO E LETTERATURA, SONO MAI ANDATE D’ACCORDO?

Nella produzione letteraria ispirata dalle patacche d’olio sulla carta si sviluppano due correnti: la corrente soggettiva, che concepisce la frittura come una delle più alte espressioni di spirito, di fantasia, di sentimento dell’uomo, espressione spontanea degli ideali dell’artista. Costui dà voce all’inquietudine e all’insoddisfazione dello spirito umano, al contrasto tra reale e ideale, tra finito e infinito che dilaniano il suo cuore. La frittura è fonte di introspezione, scavo interiore, analisi degli stati d’animo dell’autore che sono universali e accomunano tutti gli uomini. La corrente oggettiva, concepisce la frittura come rappresentazione di una realtà lirico sociale; vuole rappresentare il vero esteriore, la vita e gli ideali degli uomini di un preciso tempo e luogo.

BELLA DI PADELLA

La teoria di Schiller sull’anima bella è elaborata nel saggio Bella di padella del 1793. Per il filosofo (ed elettrauto) il doppio aspetto dell’uomo è evidenziato da un lato per la sensibilità del mondo fenomenico e dall’altro per la libertà come soggetto morale.

Bella di padella si può conciliare tramite la percezione della bellezza in un comportamento spontaneo e naturale. La frittura può quindi armonizzare sensibilità e dovere morale tramite la grazia. Si può friggere con grazia spontaneamente e senza fatica, altrimenti è possibile sostituire la grazia con la dignità tramite il sentimento del bello.

ARIA FRITTA

Anche il linguaggio è rimasto profondamente influenzato dalla cultura della frittura, il gergo giovanile primo tra tutti è quello che ne ha assorbito maggiormente la terminologia coniando espressioni idiomatiche ormai entrate a far parte del sapere comune e della vulgata quotidiana. P. e. “ehi amico ti sei per caso fritto il cervello?” o “moooh, sta roba ti frigge la testa”, ma forse non erano così. Non sono io l’esperto di materia iuvenilis d’altronde, l’ultima volta che ho frequentato una discoteca il dj manovrava un grammofono a vapore, e c’era solo un ballo, gli altri non si conoscevano. Probabilmente si, sono un vecchio bacucco, ma questo non deve fare di me un bersaglio delle vostre palline di carta attaccate con lo sputo e lanciate con la penna bic.

Il maggior contributo della frittura nella lingua, dicevamo, è stato finora in termini di prestiti lessicali.

CONTINUA…

Un giorno vedranno di cosa sono incapace

Prima di tutto: perchè essere dementi? Perchè voler far ridere a tutti i costi? Non c’è già troppa demenza in giro? Non è forse giunto il momento di essere seri e rimettere le cose a posto?

No. Ho una signora delle pulizie che pago per questo, buon Dio. Quindi preferisco stare a letto.

Bene, è questo il punto. Cos’è allora Gnam?

Gnam è una rivista di demenza incredibilmente antiquata, dal vago sapore retrò, fagioli e tonno, inadatta a un pubblico vasto, a un pubblico medio e a un pubblico di minuscole dimensioni, un pò come quello che Rick Moranis e io trovammo alla prima di “Tesoro, mi si sono ristretti i calzoni”. Tutto ciò che leggerete d’altronde è frutto dell’insegnamento che ho ricevuto dal mio pasticciere di fiducia, Leonid Breznev, alla cui onorata figura è dedicata tutta la Rivista. E’ giusto per un uomo che ha dato tanto e non ha voluto niente in cambio.

Gnam è una rivista di scempiaggini che poi fanno Burp. Gnam è il cetriolo spugnoso che avete dimenticato nel cassetto del frigo, Gnam è il biscotto trovato dietro il termosifone, Gnam sono le molliche di pane nel letto. Gnam. Gnam è l’Alfa e l’Omega delle riviste, è l’unica rivista di demenza il cui inizio corrisponde alla fine. In poche parole, posso anche chiuderla.

Gnam è finita. Addio.

Gnam è morta. Viva Gnam.

Che noia.

Va bene, Gnam è risorta allora. E non ho dovuto aspettare neanche tre giorni. Merito di uno zio che ha le mani in pasta. Gnam è raccomandata, ma questo si sapeva. Gnam è contro il merito. Infatti non merita nulla, neanche il vostro appoggio, perciò che ci fate ancora qui? Anda via! Pussate sciò! Ah, eravate già usciti da un pezzo, va bene. Allora inaugurerò la parte migliore di Gnam senza di voi, ah ah stolti, non sapete che vi state perdendo.

Che noia.

Che volete, Gnam è una rivista per vecchi. Nata vecchia, vecchia e demente. Cos’è questo posto? Dov’è la Marisa?. E siccome è vecchia, è anche ripetitiva, poco aggiornata e assente, lenta, prolissa, accademica, alla lunga davvero stancante, un pò come il vecchio Leonid.

Gnam è una rivista bigotta.

A Gnam piace la Monarchia.

A Gnam non piace Kiefer Sutherland, e un giorno vi spiegherò il perchè.

Gnam usa come unità di misura Jackie Chan.

Gnam sa essere anche pedagogica, qualunque cosa voglia dire questa astrusa parola.

Quindi si aprirà il Corso di Frittura Creativa a cura dell’esimio profrittore Roberto A. A. Frickerton (A. A. sta per Orso Maria), e che poi sarei io, l’uomo qualunque.

Qui un assaggio di cosa vi potete anche perdere:

il corso esplora e analizza l’universo della frittura in tutte le sue sfaccettature e applicazioni.
Tecnica e creatività, pratica e teoria sono i principali riferimenti entro cui si muove l’impianto didattico.

  • Le implicazioni culturali della frittura
  • L’olio: i tecnicismi
  • Il testo fritto
  • Il testo fritto nel burro
  • La sugna, genio o follia?
  • I diversi modi di intendere la frittura
  • Le fasi del friggere meditato
  • Come predisporre una patata: taglio deduttivo o taglio induttivo
  • L’uso delle cipolle: modello a grappolo, modello a cerchio, modello a piramide
  • Le diverse tipologie di padella (esempi di utilizzo su vari tipi di fornello, fuoco e piastra) e quando utilizzare i diversi modelli padellici
  • Come evitare le patacche d’olio sulla giacca: tutti i segreti.
  • Friggere una presentazione senza ungerla
  • Friggere sul Web
  • Friggere per la pubblicità

Le lezioni si svolgeranno in sede ogni sabato o giù di lì.

Di seguito una bella barzelletta moderna e simpaticissima:

Walter Ulbricht, il primo leader comunista della Germania Est è al ristorante. Una delle cameriere che lo servono gli fa il filo. Ulbricht va in brodo di giuggiole ed esclama: “Sarei lieto di soddisfare un suo desiderio”. La ragazza ci pensa un attimo e dice: “Allora apra il Muro, anche solo per un giorno”. Con una strizzatina d’occhi, Ulbricht ribatte: “Ho capito: lei vorrebbe restare sola con me!”.

E vabbè.